MAROCCO
I nomi del Marocco evocano immagini. Le sensazioni ti arrivano verticali giù fino all’ anima. I suoni ed i suonatori ti rincorrono e ti accompagnano. E confermano di essere in quel luogo. Poi gli odori, gli aromi, i profumi che saturano l’ aria. Difficile trovar spazio per i vuoti nel Magreb. Perfino il deserto è pieno di stelle. Per fortuna. Ad Essaouira la mattina presto la nebbia ti avvolge e si infila dappertutto. Poi arrivano i pescatori con i loro legni malandati e puzzolenti. Le reti colorate che riversano il bottino sulle piattaforme del porto. I gabbiani, roteano infaticabili in attesa del boccone mattutino. Più tardi incomincia ad animarsi la Medina. Portoghese di costruzione. Bianca con le finestre blu. Come in Grecia. L’ oceano è terribilmente freddo. Impossibile fare il bagno. La città sembra un aquerello. La sferza dell’ aria non ti lascia quasi mai. Fa freddo la sera. A Marrakech c’è la piazza. Al tramonto si anima e si accende. I giocolieri ed i serpentari improvvisano degli shows. Il fumo dei banchetti si alza e si sposta in una nube compatta. Gli stregoni e gli imbonitori raccolgono audience intorno a loro. Chi ci casca pagherà qualche Dirhan. Poi l’hennè. Haisa con lo Chador e gli occhi verdissimi ti prende all’ improvviso e ti decora un braccio. Le donne si adornano di tattoos. I piedi e poi le mani. Come in un film. Ma è tutto vero qui. Nel Suk ci si infila dondolanti e a bocca spalancata. Lo stupore ti accompagna e ti riempie l’ animo. La contrattazione è veramente estenuante, ma impossibile da evitare. Si discute per tutto. Dalla cena alle babbucce. A Fes dei musici ti vengono incontro con i tamburi e le nacchere di metallo. Flauti e chitarrine danno melodia al ritmo indiavolato della percussione. Le vasche dei tintori di pellame puzzano da morire. Ed alcuni lavoranti ci si infilano fino alla cintura. Per schiacciare, tirare, sciacquare e chissà cos’ altro. Per strada si incrociano muli. Carichi fino a crollare. Un conduttore urla : balak (attenzione) I bambini ti seguono ma non ti importunano. I derelitti stanno seduti sul lastrico e mormorano qualcosa rassegnati. Aziz la guida, racconta il suo scontento per un Re che non si occupa della povera gente. Un laureato sa troppe cose e potrebbe farsi strane idee. Per questo viene controllato dal regime. I dottori vivono male. Dice Aziz. Nella Kasbah c’è calma. Il luogo è più raccolto. Il fango e la paglia rendono i muri massicci nell’aspetto. Ma fragili. Quando piove crolla tutto. Ma quando piove? Il set di “The nel Deserto” è li da toccare. Incredibile. Quante volte ho sognato di visitare quei luoghi. Nel deserto ci sono le stelle. Quando ti sdrai a testa all’ insù si apre il sipario e si accende la più bella delle scene. I puntini sono infiniti. La notte fa da quinta e rimanda il più appassionante degli spettacoli“Il cielo stellato sopra di noi…”recita Kant. A Gorges de Todra c’è un guado. Un albergo chiude la valle. Le rocce a picco sopra il fiume ti confondono. Ma dove siamo mai? Ho lasciato il deserto da poco. A Meknes una guida parla Toscano e di cavalli Maremmani. A Volubilis c’ erano i romani. Il cardo ed il decumano ne testimoniano la presenza. Due nidi di cicogna sopra il ninfeo, troneggiano con le loro paglie sgraziate. A Erfoud fa caldo. Un caldo terribile. Siamo sul confine con L’Algerie. La legione straniera è qui ad un passo. I fortini di Corto Maltese sono li da acchiappare. I miraggi prendono corpo. Non è più fantasia, quando li vedono tutti. A Rissani c’è ancora caldo. Quarantasei gradi. Si vendono tappeti, ma non c’ è più forza per contrattare. Anche a Errachidia fa caldo. Fa meno caldo a duemilaedue. Ma non è ancora fresco. La musica del film più famoso accende la fantasia a Casablanca. C’ è Humprey. L’ atmosfera fumosa ed un po’ torbida. I bar, i ventilatori scassati. Gli sguardi sfuggenti degli arabi. Gli occhi nerissimi delle donne più emancipate che cedono il passo alle occhiate complici di chi indossa ancora lo Chador. Ad Azrou, un paesello vicino a Fes c’ è un bordello. Le prostitute grasse, dietro una grata di ferro aspettano gli avventori malcapitati. In una Kasbah trovo un uomo, forse un vecchio. E’ solo, seduto sopra un sasso all’ ombra. Accanto a sé c’è l’ avanzo di una radio. Una musica araba in sordina gli fa compagnia. In un Hotel incontro una donna che mi divora con gli occhi. Inshallah. Il grido del Moatzin incalza implacabile dai minareti e regola il ritmo della giornata. Durante una cena i camerieri si fermano per pregare rivolti verso la Mecca. Mentre gli avventori continuano a mangiare. Una zecca impertinente si infila su per la gamba di una bella donna. Ed un ubriaco cade battendo la testa pesantemente. Nessuno lo soccorre. Passeranno minuti prima che venga raccolto. Un bambino ti fissa negli occhi e ti chiede un Dirhan. Un uomo lo rincorre e lo scaccia con male maniere. Le tende dei Berberi ammiccano da lontano nel deserto. Youssef dice che loro sono i più fortunati. Conoscono il denaro ma ne fanno poco uso. Vivono di quasi nulla nel deserto. Forse hanno capito il gioco delle piccole cose. Non aspettano I Tartari e non conoscono Godot. Vivono ogni mattino come un risveglio. Con le loro donne, con gli infiniti figli. Il the alla menta. Nel deserto. Come in un film. Ma non di Bertolucci. Uno nuovo. Inedito. Che si rinnova ad ogni sorgere del sole.
Maurizio Paoli